domenica 27 febbraio 2011

Un tè d'autore: storia e citazioni sulla bevanda più amata

(Arthur Hughes)

Bussarono alla porta e il cameriere entrò con il vassoio del tè e lo posò sul tavolino giapponese. Si udì un tintinnire di tazze e di piattini e il sibilo flautato di un samovar georgiano. Un paggio portava due coppe cinesi. Dorian Gray si alzò e si versò il tè. I due uomini si avvicinarono lentamente alla tavola e alzarono i coprivivande.
“Andiamo a teatro, stasera, - disse lord Henry. […]
“Sarei lieto di venire con voi […] – disse il giovane.

(Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray)

Il tè, una delle bevande più antiche e consumate al mondo, in Occidente, perdendo i suoi connotati mistici tipicamente Orientali, è sempre stato vissuto come bevanda di compagnia e di intrattenimento mondano. Per molti anni fu un piacere strettamente aristocratico, riservato alle classi privilegiate, divenendo in seguito, anche e soprattutto grazie al colonialismo, una bevanda alla portata di tutti.
Ma cosa si cela dietro a questa famosa ed inebriante bevanda ambrata, per il cui aroma intenso e raffinato vennero combattute guerre sui mari e rivoluzioni, e si intrapresero colture tanto sterminate da cambiare l’economia di interi paesi?
Okakura Kazuko, autore di un famoso libro su questa magica bevanda - Il libro del tè – affermava che ‘il tè non ha nulla dell’inebriante arroganza del vino e dell’individualismo del caffè o dell’affettata innocenza del cacao, ma un gusto sottile, particolarmente adatto ad essere idealizzato’.
Sarà per questo che il tè, da quando è venuto alla ribalta in Europa, importato dagli olandesi nel 1610 (ma furono due italiani, il veneziano Giovanni Ramusio, e il gesuita Matteo Ricci, nel 1559, i primi a parlare e scrivere di tè in Europa), è sempre stato fonte di ispirazione per poeti ed artisti, che lo ritrassero e lo decantarono, oltre naturalmente a berne in quantità industriali?

(Pierre Chardin)

(George Goodwin Kilburne)

Nella vita ci sono poche ore più piacevoli dell'ora dedicata alla cerimonia del tè pomeridiano.
(Henry James, Ritratto di signora)

(Richard Collins)

(Joseph de Camp)

(William McGregor Paxton)

"Voglio che tu beva il mio te'. Sentirai, il profumo ti arrivera' all' anima". Parlava di un te' prezioso, giuntole da Calcutta... Un profumo acuto si spandeva nell' aria... Ella verso' in una tazza la bevanda e l' offerse ad Andrea, con un sorriso misterioso. Egli rifiuto' dicendo "Non voglio berlo in tazza ma da te"... "Ora prendi un bel sorso"... Maria, teneva le labbra serrate, per contenerlo... E Andrea la bacio', suggendo da essa tutto il sorso...
(Gabriele d'Annunzio, Il piacere)

(Mary Cassat)

(Mary Cassat)

(Wilson Henry Irvine)

In Inghilterra, oggi considerata la vera patria del tè, la prima apparizione della tanto decantata bevada avvenne nel 1645, attraverso l'Olanda. Nel 1658 un trafiletto del giornale brittanico Mercurius Politicus esibiva la prima pubblicità del tè, informando i lettori che le autorità competenti avevano approvato una nuova bevanda cinese, chiamata dai cinesi Teha, e che la si poteva trovare in un locale della City: la Coffe House 'Sultaness Head'.
Qualcuno disse: 'Chi ha bevuto del caffè in Inghilterra capisce perchè gli inglesi siano accaniti bevitori di tè'. Tuttavia, è un dato di fatto che le caffetterie nel Settecento divennero sempre meno luoghi di distribuzione del caffè e sempre più templi dedicati alla degustazione del tè, per soli uomini, dove, tra una tazza e l'altra si discutevano idee e affari e si criticava il governo, al punto da spingere l'allora Re Carlo II ad emanare un decreto per chiudere le Coffe House, per paura di sedizioni. le proteste, tuttavia, furono talmente vibranti da annulare l'ordinanza in favore di una legge, meno restrittiva, che limitava il consumo di tè alle sole classi privilegiate: 'Il piacere tratto da questa bevanda può sfavorevolmente influire sui lavoratori' era l'avvertimento.
Il tè, per quei pochi fortunati, dunque, che potevano permetterselo, si beveva quasi sempre con accompagnamento di latte, o addirittura con due tuorli sbattuti, usanza bizzarra, se si considera che in Oriente non se ne era mai fatto uso. Ma agli inglesi, del resto, poco importavano le antiche tradizioni che da sempre accompagnavano il rito del tè, considerato dai suoi padri orientali una bevanda medicamentosa e contemplativa.
Oltre ai nobili, molti intellettuali erano bevitori di tè: era scoppiata una vera e propria moda, che portava i più a cercare nell’ambrato infuso sensazioni nuove e illuminanti.
La svolta nel cosumo di tè, tuttavia, si ebbe nel 1717: Thomas Twining (questo nome vi suona familiare?) decise di allargare la sua attività e comprò un locale al fianco di una Coffe House molto frequentata, aprendovi un negozio dove si vendevano tè e caffè sfusi. Il locale, ancora esistente, era aperto a tutti, donne comprese, e quella fu la sua fortuna.
In poco tempo le donne divennero accanite bevitrici di tè, e, secondo la tradizione, fu proprio una donna (non poteva essere altrimenti!), la Duchessa di Bedfort, a inventare la moda dell'afternoon tea: il tè pomeridiano delle signore.
In epoca vittoriana il tè delle signore era diventato un'occasione unica per intrattenere relazioni sociali: le donne cominciarono a farsi visita per bere tè e mangiare sanwiches, toast e pasticcini. Alla padrona di casa, e all'eventuale figlia, spettava il compito di servire il tè nel modo più raffinato possibile: era diventato un vero e proprio rito, certo, non paragonabile al significato che gli si continuava ad attribuire in Oriente, ma sicuramente di una certa importanza nell'ambito della borghesia dei tempi.


(Soulacroix Frederic)

(Mary Fairchild)

(David Emil Joseph De Noter)


...L' ora del te' fumante e dei libri chiusi, la dolcezza di sentire la fine della sera, la stanchezza incantevole e l' adorata attesa dell' ombra nuziale e della dolce notte.
(Paul Verlaine)

(Carlo Cressini)

(Lilla Cabot Perry)

(Desh Frank)

(Frederick Frieseke)

(Boris Kustodiev)

(Pierre Auguste Renoir)

(Mary Cassat)


(Henriette Ronner)

(John Tenniel)

C'era un tavolo apparecchiato sotto un albero di fronte alla casa, la Lepre Marzolina e il Cappellaio prendevano il te'. E, ancora, 'Prendi un po' di vino', disse la Lepre Marzolina con un tono invitante. Alice si guardo' intorno ma da ogni parte non vide altro che te'
(Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie)

(Arthur Rackham)

E oggi, come si prende il tè?
Oltre al tradizionale, irrinunciabile rito del pomeriggio, è possibile usare il tè in mille modi diversi.
Un esempio?
I biscotti al tè verde Matcha! Provateli, sono buonissimi...

Ingredienti
:
farina 215g
zucchero a velo 100g
burro 150g
tuorli 3
tè verde matcha 1,5 cucchiaio
Un pizzico di sale

Setacciate la farina, il tè in polvere e il sale in una ciotola. In un'altra ciotola sbattete per circa 3-5 minuti il burro, fino ad ottenere una consistenza morbida. Aggiungete lo zucchero e continuate a sbattere per un altro paio di minuti finché il composto non sia leggero e gonfio. Aggiungete a questo punto la miscela di farina e tè in polvere e i tuorli, mescolate lentamente fino a che non sia stata tutta incorporata e abbiate ottenuto una pasta compatta. Avvolgere infine la pasta con della pelicola e lasciarla riposare in frigo per 30 minuti. Dopo questo tempo, stendere l'impasto con il mattarello, e creare dei biscotti dello spessore di un centimetro. Adagiarli su una teglia rivestita da carta da forno e cuocere a 180° per circa 15 minuti (si devono appena colorare i bordi).

E dopo questo tour storico, artistico e...gastronomico nel mondo del tè, vi lascio sulle note di 'Tea for two'!








domenica 20 febbraio 2011

Virginia Oldoini: la spia di Cavour


Io sono io e me ne vanto; non voglio niente dalle altre e per le altre. Io valgo molto più di loro. Riconosco che posso non sembrare buona dato il mio carattere fiero, franco e libero, che mi fa essere talvolta dura e cruda. Così qualcuno mi detesta; ma ciò non m’importa. Non ci tengo a piacere a tutti.


Devo confessare che, fino a poco tempo fa, ignoravo quasi del tutto l’esistenza di questo affascinante e controverso personaggio storico. Ma visitando la mostra allestita a Torino su Vittorio Emanuele II, messa in piedi per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia ( Vittorio Emanuele II. Il Re galantuomo ) mi sono imbattuta in lei, o meglio, nel suo affascinante ritratto, che occhieggiava con malizia i visitatori. Al suo fianco, un elegante abito in velluto nero appartenutole e ad una riproduzione in marmo di una delle sue piccole ed affusolate mani, perché pare che la contessa avesse mani e piedi talmente belli che molti artisti li ritrassero separatamente dal corpo.



Ma Virginia Oldoini, al suo tempo, non si distinse solo per l’ineguagliabile bellezza. Fu una donna di incredibile intelligenza, colta, scaltra e spregiudicata, abile nella diplomazia e negli affari, al punto da essere ‘arruolata’ da Cavour nella diplomazia segreta del Regno di Sardegna, facendo leva sul suo indiscutibile fascino per influire nella politica del tempo.
Virginia, detta Nicchia, soprannome riservatole per primo da Massimo d’Azeglio, nacque a Firenze il 23 marzo del 1837, dove le vennero imposti i tradizionali sette nomi, come era in uso nell’aristocrazia: Virginia, Elisabetta, Luisa, Carlotta, Antonietta, Teresa, Maria. I suoi genitori, cugini di primo grado, avevano stabilito a la Spezia il loro domicilio, ed è qui che Virginia crebbe, in uno splendido palazzo quasi sulla riva del mare, sviluppando un forte attaccamento per questo luogo, che si sarebbe trasformato in un sentimento di struggente nostalgia per quello che avrebbe sempre considerato il suo borgo natio.
Bellissima e intelligente fin da bambina, in casa era adulata e viziata dai genitori che l’appagavano in tutti i suoi capricci, atteggiamento che la portò a sviluppare sin dall’infanzia quell’alta considerazione di se stessa che le consentirà di affrontare senza timidezze e pudori anche le situazioni più imbarazzanti.


Virginia, ormai giovinetta, aveva allargato la cerchia delle sue illustri amicizie, e palazzo Oldoini cominciava ad essere assediato da giovani ufficiali attratti dalle grazie della bella e seducente marchesina.
A soli diciassette anni, il 7 maggio 1853, perse la verginità con lo spezzino Ambrogio Doria, incidente che, considerata la moralità del tempo, costrinse i suoi genitori a correre ai ripari dandola al più presto in sposa al conte Francesco Verasis di Castiglione, gentiluomo di corte al seguito della regina Maria Adelaide, ammaliato sin dal primo istante dall’incredibile fascino di Nicchia.
Il loro, tuttavia, si rivelò da subito un matrimonio insoddisfacente e problematico, soprattutto a causa del carattere ribelle e della forte personalità della giovane Virginia: egoista, lunatica, arrogante, impulsiva e testarda. Ma anche vivace, orgogliosa e ambiziosa, Nicchia non poteva accettare di ‘sprecare’ la sua esistenza nella grigia e triste Torino che, a metà Ottocento era la capitale europea dove erano più religiosamente rispettate le regole dell’etichetta, rigida ed austera.
Fu il 1855 l’anno determinante per il destino della contessa. Diventò madre, ma questa non troppo desiderata maternità non le impedì di compiere il suo ingresso nella storia.
Era quello, infatti, un periodo di grandi avvenimenti, che il piccolo e ambizioso Piemonte, sotto l’accorta guida di Cavour, seguiva con grande attenzione, cercando l’opportunità di inserirsi nel gioco delle grandi potenze per realizzare il suo progetto unitario. L’Italia era infatti a quei tempi un coacervo di staterelli a sovranità limitata sotto l’egida dell’Austria, e il Piemonte ambiva a ad assumere la guida del confuso movimento indipendentista che si era diffuso nell’intera penisola.
Cavour si era convinto che avrebbe potuto realizzare le proprie ambizioni solo grazie ad un potente alleato, e l’unico paese che, in quel particolare momento storico, poteva venire in aiuto del Piemonte era la Francia di Napoleone III.


Assicurarsi la protezione dell’imperatore era dunque l’obbiettivo primario del grande statista piemontese, ed è proprio qui che entra in gioco la contessa di Castiglione.
La strategia di Cavour era semplice (seppur di basso livello): trovare una dama bella, seducente e disinibita, ma soprattutto intelligente, capace di sedurre l’imperatore e manovrarlo politicamente per perorare l’alleanza franco-piemontese.
Nicchia, sua cugina di secondo grado, venne così arruolata nella diplomazia segreta piemontese.
‘Cercate di riuscire, cara cugina, con il mezzo che vi sembrerà più adatto, ma riuscite’, furono le parole con cui la congedò Cavour, prima di affidarla alla protezione di Costantino Nigra, ambasciatore italiano in Francia.
Arrivando a Parigi con il consorte e il figlio, Virginia diede subito modo di parlare di sé per l’incredibile bellezza ed avvenenza, e per la spregiudicatezza delle sue mise, considerate all’ultima moda.



L’incontro con Napoleone III avvenne il 10 gennaio 1856, ad una festa organizzata dalla principessa Matilde Bonaparte, e Nicchia non dovette faticare più di tanto per entrare nelle grazie dell’imperatore, dato che solo una settima dopo annota nel suo diario: 'Andata alle Tuileries. Il Gran Ciambellano ha avuto l’incarico dall’imperatore di mettere il mio nome sulla lista degli inviti normali e in quella degli inviti riservati.'
A partire da questo momento la scalata di Nicchia al cuore di Napoleone III è inarrestabile. L’unico a pagarne le conseguenze è il marito Francesco, definito dalla stessa Virginia il ‘Povero Bocco’.
Dopo due mesi di vita parigina il conte di Castiglione non poteva fare a meno di notare come la moglie gli sfuggisse. Lui si dissanguava per pagarle i conti, assecondando i suoi costosi capricci, e cercando di ammansirla ricordandole la presenza del figlio Giorgio, ma era tutto inutile. Nicchia continuava la sua spregiudicata vita, con o senza il suo consenso, al punto che, dopo varie minacce di divorzio, il conte rientrò in Italia portando con sé il piccolo Giorgio, e lasciando alla moglie campo libero per le sue manovre.



La svolta nella ‘missione patriottica’ della contessa avvenne una sera di luglio del 1856 a Saint-Cloud, nella residenza estiva dell’imperatore.
Virginia, in parte a causa della propria conturbante bellezza, in parte per l’atteggiamento altezzoso e distaccato, non andava per niente a genio all’imperatrice e alle altre dame. Fu così che un giorno, mentre visitavano le rovine romane di Pierrefond, la contessa di Castiglione scivolò da una pietra, slogandosi un polso, senza che nessuna muovesse un dito per aiutarla.
L’incidente tuttavia ebbe il merito di avvicinarla all’imperatore, che quella sera si recò nella sua camera a farle visita.
‘E’ andato a consolare la povera ammalata’ commentarono malignamente le altre dame.
Così, quella notte ebbe inizio la loro relazione, ormai indiscutibilmente provata, anche se non esistono prove certe circa l’azione politica che Virginia Oldoini avrebbe svolto frequentando l’alcova dell’imperatore, dato che tutta la loro corrispondenza è misteriosamente scomparsa ad opera dei servizi segreti che, alla morte della contessa, sono entrati in azione per epurare i suoi archivi da ogni documento compromettente per Casa Savoia.
Tuttavia, è inverosimile credere che una donna tanto astuta ed intelligente non abbia colto al volo, seppur con mezzi discutibili, l’occasione che le si presentava per influire politicamente.
Quella notte, per sedurre l’imperatore, la contessa indossò quella che sarebbe diventata famosa come ‘la camicia da notte di Compiègne’, un indumento leggero come una nuvola, di seta trasparente color verde acqua.
Virginia lasciò scritto nel suo testamento che desiderava ‘essere sepolta con la camicia da notte di Compiègne’, perché con quella mise aveva cambiato la storia dell’Italia.
Purtroppo per lei, i suoi eredi si dimostrarono poco propensi ad esaudire i suoi desideri, mettendo tutti i suoi beni all’asta, tra cui anche la famosa camicia da notte, che adesso si trova al museo cavouriano di Santena.
‘Ogni donna ha il dovere di essere bella, non per sé, ma per gli altri. Per sé invece, deve essere ambiziosa, astuta e agguerrita’ era il motto di Virginia.
E, riferendosi alla camicia da notte che indossava nel primo incontro con Napoleone III, scrisse:
‘questa dovrebbe essere la bandiera d’Italia’.
Tanto per smentire la teoria che a ‘fare l’Italia’ furono soltanto uomini.

lunedì 14 febbraio 2011

Maria Antonietta e Fersen


Oggi si festeggia l'amore, e, anche se non sono una grande estimatrice della giornata di S. Valentino, ho pensato di dedicare un post ad una grande storia d’amore, quella tra la Regina di Francia Maria Antonietta e il bel conte svedese Hans Axel von Fersen.
Contrariamente a quanto spesso si pensa, la loro non fu una semplice relazione clandestina fatta di attimi rubati, ma una vera e propria storia d’amore basata su un rapporto profondo che li accompagnò per tutta la vita.
Non ci sono prove certe che fossero amanti a tutti gli effetti, certo era invece che entrambi attribuissero a questo romantico rapporto un’importanza speciale, che gli permise di non dividersi mai veramente, nonostante la distanza che molto spesso li separava.


Il loro primo incontro avvenne la notte del 30 gennaio 1774, ad un ballo mascherato.
Il giovane Fersen, che in quegli anni stava completando la propria educazione di gentiluomo intraprendendo un Grand Tour (molto in voga all’epoca) presso le principali capitali europee, era appena giunto a Parigi.

Nato il 4 settembre 1755 aveva appena due mesi più di Maria Antonietta, era figlio di una nobildonna e del primo maresciallo dell’esercito svedese, ‘l’uomo più ricco della Svezia’, parlava correntemente cinque lingue, e pare fosse un uomo di straordinaria bellezza: alto e slanciato, aveva profondi occhi azzurri sormontati da folte sopracciglia scure, ed un aria sempre vagamente malinconica, che indusse il duca di Lévis a paragonarlo ad un eroe da romanzo, mentre, proprio per la straordinaria avvenenza, si meritò l’appellativo di ‘The picture’, il quadro, dalla duchessa di Denvoshire ,Georgiana, e quello di ‘Apollo’ da Lèonard, il parrucchiere della Regina.
Il 30 gennaio 1774 Fersen si recò al ballo in maschera tenutosi al teatro di Parigi, arrivandovi all’una di notte. Tra la folla immensa si ritrovò a parlare a lungo con un’affascinante dama dal volto coperto, senza avere il minimo sospetto che si trattasse della delfina di Francia Maria Antonietta, come annotò nel suo journal intime: 'La delfina mi parlò a lungo senza che sapessi chi fosse; quando venne riconosciuta tutti le si strinsero intorno ed ella si ritirò in un palco alle tre del mattino; io lasciai il ballo'.



Da questo primo e breve incontro non ci è dato dunque sapere che impressione ebbero rispettivamente l’uno dell’altra Maria Antonietta e Fersen, ma di sicuro, almeno nella Regina, deve essere stata rilevante, dato che quattro anni dopo, riconoscendolo a Versailles tra la folla che le veniva presentata, ella non mancherà di accoglierlo con entusiasmo e gioia.
Di quell’incontro Fersen annota: ‘La Regina, che è affascinante, quando mi vide esclamò: Ah, è una vecchia conoscenza! Gli altri membri della famiglia reale non mi dissero una parola.’
Più tardi, in una lettera al padre, torna a parlare di lei: ‘E’ la più bella e la più deliziosa principessa che conosca!’
Nel 1778, dunque, la simpatia e l’interesse che provano l’uno per l’altra è significativo e viene approfondito nel corso di vari ricevimenti, nonostante siano proprio i mesi in cui Maria Antonietta sta portando avanti la sua prima gravidanza, che è il vero fulcro dei suoi pensieri.
Sarà solo nel 1780 che si potrà parlare di quella che diventerà la fase iniziale del loro rapporto, che tuttavia comincerà con una separazione. E’ proprio quello, infatti, l’anno in cui il bel conte svedese prende congedo dalla Francia e dalla sua Regina per trasferirsi oltreoceano a combattere con le truppe francesi per l’indipendenza nel Nuovo Mondo.
In questo periodo il legame tra Fersen e la Regina è forte, e, sebbene non implichi nessuna relazione clandestina, inizia a destare più di un sospetto tra i membri della corte, come è possibile intuire dalle parole dell’ambasciatore svedese: ‘Confesso che non posso crederci…ho visto dei segni troppo inconfondibili per dubitarne’. Egli così si esprime scrivendo al suo sovrano, aggiungendo che il comportamento benevolo di Maria Antonietta nei confronti di Fersen non dava spazio a dubbi. Atteggiamento che sembra confermare lo stesso Fersen in una lettera indirizzata al padre: ‘E’ una principessa incantevole. Mi ha sempre trattato con grande gentilezza, da quando il barone le ha parlato, mi cerca ancora di più. Passeggia quasi sempre con me ai balli e a teatro. La sua gentilezza ha suscitato la gelosia dei cortigiani più giovani, i quali non possono comprendere come mai uno straniero venga trattato meglio di loro.’
Da queste parole è facile evincere che la partenza di Fersen può essere attribuita, oltre al desiderio di dare lustro alla propria carriera militare, anche ad un sottile bisogno di allontanarsi da Versailles e dal vespaio di pettegolezzi che la frequentazione tra la Regina e il bel conte sta destando.
Non sappiamo cosa passasse per la mente di Fersen in vista di quel distacco, ma si dice che la Regina abbia pianto quand’egli prese congedo. E scrivendo alla madre in merito alla spedizione delle truppe francesi si espresse con questi termini: ‘Che Dio conceda loro di arrivare sani e salvi!’.
Ed è facile supporre chi fosse nei suoi pensieri in quel momento.



Fersen rimase lontano dalla Francia per tre anni, e quando vi tornò, alla fine di giugno del 1783, la Regina era nuovamente incinta, una gravidanza che tuttavia si concluderà con un brutto aborto in novembre.
In questi anni il conte aveva valutato diverse occasioni di prendere moglie, e si trattava sempre di matrimoni d’interesse, finalizzati al conseguimento di un buon guadagno, nulla a che vedere con l’amore.
Ma proprio nel 1783 egli, scrivendo alla sorella, mette fine ad ogni dubbio. ‘Non posso stare con l’unica persona che desidero, l’unica che mi ama veramente, perciò non voglio stare con nessuno.’
Riferendosi naturalmente alla sua Toinette, la sua ‘Joséphine’, ‘Elle’.
Fersen rimase in Francia fino al 20 settembre, per poi tornarvi nel febbraio dell’anno successivo, ed è proprio in questo periodo che gli storici concordano sull’inizio di un’ipotetica relazione fisica tra il conte e la Regina. Relazione di cui, ad ogni modo, in parte grazie alla proverbiale riservatezza del conte, in parte a causa della distruzione, postuma alla sua morte, di tutta la sua corrispondenza, non si hanno prove certe.




Nel 1784 Maria Antonietta si ritrovò nuovamente incinta, e questa volta era teoricamente possibile supporre che il bambino potesse essere del conte Fersen, dato che per la prima volta le date coincidevano. E’ tuttavia poco probabile credere in una simile eventualità, tanto più che il Re non ebbe mai a mettere in dubbio la paternità del bambino, segno che le sue sporadiche visite notturne alla moglie continuavano.
Intanto, in Francia il malcontento del popolo andava aumentando e la popolarità della sovrana diminuendo. Si andavano sempre più diffondendo osceni libelli sulla sua persona, uniti ad epiteti ed ingiurie che la accusavano di essere una spendacciona, sciocca, senza un’idea in testa tranne quelle libidinose ed oscene verso i membri della propria corte.
Il conte Fersen, che tornò in Francia il 10 maggio 1785, non mancò di notare la freddezza con cui venne accolta Maria Antonietta al suo ingresso a Parigi: ‘Neppure una sola acclamazione. Il silenzio totale.’
Sono anni difficili, anni di conflitti e contrasti che non mancano di gettare fango sull’ormai impopolare Regina, trascinata ancora più in basso dallo scandalo della collana, l’orribile raggiro ordito ai suoi danni che fece vacillare anche l’ultimo barlume di credibilità di cui godeva.
E’ in questi anni che l’amicizia e l’affetto del conte di Fersen si fanno più solidi ed importanti: egli è il suo sostegno e il suo punto fermo in un mondo che non smette di accusarla. In questi anni il conte svolge anche ruolo come ambasciatore tra la Francia e la Svezia, non mancando di scriverle lunghe ed incoraggianti lettere nei periodi di lontananza.


Fersen era il suo più devoto cavaliere e il suo prezioso alleato politico.
La sua anima gemella.
E se è vero che il bel conte non si negava certo la compagnia femminile, avendo sempre avuto molte amanti, l’unico oggetto della sua devozione fu sempre e solo Maria Antonietta.
‘Non si può fare a meno di lodare la Regina, se si conoscono il suo desiderio di fare il bene e la bontà del suo cuore.’
Nel 1789, poco prima dei disordini di ottobre che avrebbero portato all’allontanamento della famiglia reale da Versailles, Fersen si era trasferito nei pressi della corte, per poter stare con la Regina. Fu quindi tra i membri del corteo che lasciò la reggia per trasferirsi alle Tuileries, giustificando la sua particolare presenza come membro del circolo privato della Regina. Fersen vendette la casa e i cavalli che aveva acquistato a Versailles e si trasferì a Parigi, dove avrebbe potuto stare più vicino ad ‘Elle’ e recarsi a farle visita.
Contrariamente all’opinione comune, egli considerava Maria Antonietta una vittima. Un’eroina maltrattata, mal giudicata, sensibile, sofferente e piena di bontà, ed era il suo più fervido sostenitore, nonché il più stretto confidente.
Fu anche uno dei più strenui propugnatori di un piano di fuga che consentisse alla famiglia reale di mettersi in salvo, contribuendovi attivamente con enormi somme di denaro e mettendo a rischio la sua stessa vita.
Fersen pagò cinquemila livres per la berlina a sei posti con cui avrebbe dovuto scappare la famiglia reale, improvvisandosi addirittura cocchiere.
Era la notte del 19 giugno 1790. Giunto alla prima poste, come da accordo, il conte aveva lasciato la compagnia.
Non sappiamo quali furono i suoi sentimenti in quel momento, ma si suppone fossero i sentimenti di un uomo che abbandona ad un incerto destino la donna amata, con la speranza di rivederla presto sana e salva.
Purtroppo però la fuga della famiglia reale si concluse disastrosamente il giorno dopo a Varennes, con la cattura di quest’ultimi che vennero prontamente ricondotti a Parigi.
Da quel momento Fersen, rifugiatosi in Belgio, rivedrà Maria Antonietta una sola ed unica volta, tornando a Parigi sotto mentite spoglie e intrufolandosi di nascosto alle Tuileries.
Il conte, per questo atto estremo, che rasenta quasi l’eroismo, rischia sicuramente la vita, essendo lui bandito da Parigi. Essere scoperto significherebbe andare incontro a morte certa.
Maria Antonietta cerca in tutti i modi di impedirglielo: ‘E’ assolutamente impossibile che voi veniate qui in questo momento: sarebbe mettere in gioco la nostra felicità, e se lo dico io, bisognerà credermi, giacché ho un estremo desiderio di vedervi.’
Ma il conte non raccoglie: ‘Io vivo soltanto per servirvi.’
Era l’11 febbraio quando Fersen, con il favore dell’oscurità, si introdusse furtivamente alle Tuileries, incurante dei soldati e dell’odio dei parigini nei suoi confronti.
Di quest’ultima notte esiste prova certa che la trascorsero insieme, come dimostrano due laconiche parole appuntate sul journal intime del conte:
‘Resté là’.
Fu l’ultima volta che si videro, prima che la ghigliottina, feroce figlia della Rivoluzione, esigesse la più illustre e bramata fra le teste: quella della dolce Toinette.


Poco prima della fine Maria Antonietta incaricò il suo buon amico, il conte de Jarjayes (personaggio cui si ispira l’eroina del manga Lady Oscar, e il grande Alexandre Dumas nel suo ‘Il cavaliere di maison rouge’) di recapitare a Fersen un sigillo con il motto, in italiano, ‘Tutto a te mi guida’, insieme alla frase tratta dalla Nouvelle Heloise di Rousseau ‘Le nostre anime si toccano in ogni punto…Il destino può davvero separarci, ma mai dividerci.’. Purtroppo il conte de Jarjayes riuscì a portare a termine la missione solo alcuni mesi dopo la morte della sovrana, avvenuta il 16 ottobre 1789.
Fersen non si riprese mai dalla morte dell’amata. Ricevette la notizia il 20 ottobre, rimanendone completamente intontito. Per tutto il resto della sua vita celebrò il 16 ottobre come giorno di lutto.
Nessuna donna sostituì mai Maria Antonietta nel suo cuore.

‘Colei per cui io vivevo e, giacché non ho mai cessato d’amarla, né l’avrei potuto neppure per un momento, e tutto le avrei sacrificato, ben lo sento in questo istante. Colei che io tanto amavo, per cui avrei dato mille vite, non è più. Dio, perché colpirmi a tal punto? Come ho meritato la tua collera? Essa non vive più. Il mio dolore è al colmo e non so come possa esistere ancora, non so come reggo al mio tormento che è estremo, che nulla mai potrà cancellare: sempre l’avrò presente nella mia memoria, e sarà soltanto per piangerla…perché non sono morto accanto a lei e per lei quel 20 di giugno?’

Fersen sopravvisse diciassette anni alla morte della sua amata Toinette, fino al giorno in cui, accusato ingiustamente dell'omicidio dell'erede al trono svedese, venne inseguito dalla folla che gli saltò sulla cassa toracica, sfondandogli il cuore.
Fu una morte tragica ed orribile, in cui il destino, ironico e beffardo, aveva messo ancora una volta il suo zampino.
Era infatti il 20 giugno.

sabato 12 febbraio 2011

Candy Blog!



Ebbene si, ho deciso di festeggiare i miei primi trenta lettori con un Candy Blog!
Il tre è un numero che mi ha sempre portato fortuna, e direi che ricorre piuttosto spesso nella mia vita, perciò ho deciso di festeggiare questo piccolo traguardo del mio, ancora piuttosto recente blog, mettendo in palio un pensierino realizzato da me.
Immaginando cosa sarebbe potuto piacere alle persone che mi leggono, non ho potuto fare a meno di pensare a dei segnalibri, così sono nati Birdcage e Jane, quest'ultimo ispirato naturalmente alla grande zia Jane (Austen), che so essere nei cuori di molte mie lettrici^^
I segnalibri sono realizzati in carta plastificata, sono impermeabili e abbastanza rigidi, perciò non corrono il rischio di rovinarsi e spiegazzarsi (angoli al sicuro!) mentre per le decorazioni ho usato pizzi, nastrini colorati e ciondoli in metallo.
La citazione che ho riportato sopra al segnalibro Jane è un cult della beneamata zia: 'Per quello che mi riguarda, se un libro è ben scritto, lo trovo sempre troppo corto'.
Giusto per restare in tema 'libresco'!







Particolari





Partecipare è semplice, vi basterà lasciare un commento a questo post (mi raccomando, un solo commento per persona!) e inserire questa immagine sul vostro blog in modo che rimandi a questo post:



Non vi chiedo di diventare miei sostenitori, ma se vi fa piacere ne sarei naturalmente felicissima!
Il vincitore, che verrà estratto casualmente, potrà scegliere uno tra i due segnalibri^^
Il Candy Blog scade il 1 marzo.
Spero che parteciperete numerosi!

EDIT: visto che mi è stato chiesto, al Candy Blog possono partecipare anche quelli che non hanno un blog, basta che mi lascino il loro indirizzo mail nel commento a questo post!
Buona fortuna a tutti!

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...